sabato 27 aprile 2013

Il popolo bue e Brunetta


Leggo sui giornali il racconto di questa Italia. Un Paese dove è possibile che la borsa di un generale ucciso sia stata persa per 31 anni e ritrovata nel bunker del tribunale di Palermo, però vuota. E adesso cercano le carte. (sic!). Dove i carabinieri sparano in aria per disperdere la folla inferocita per via dell’immondizia che invade le strade di una città bella e drammatica come Palermo. Come sono contraddittorie e dolorose le città, le donne e le storie del sud. Dove un premio Nobel irride un nano e la sinistra non dice nulla. Perché se l’offesa è di Dario Fo rivolta a uno come Brunetta è meno offesa? Ci sono tanti e tali motivi per demolire uno come Brunetta che la sua altezza davvero non fa notizia. Questa è l’Italia in cui mentre la gente, impossibilitata democraticamente da una legge elettorale assurda, per esercitare il proprio diritto a scegliersi la classe dirigente è costretta a votare Grillo, loro, quelli della classe dirigente non scelta ma investita, pensano di riproporci i vari Alfano (no comment), il Brunetta di cui sopra, la Maria Stella Gelmini che ha devastato la scuola, il Dalemone che ha fatto il tempo e il guaio suo, la Bindi che non la sopportano più nemmeno i suoi parenti e varia compagnia marcia cantando. Siamo il popolo bue e loro lo sanno: possono farci di tutto e noi accettiamo supinamente. Ma prima o poi pure i buoi si incazzano. O no?
ps: qualche riga in più oltre alle classiche quindici per dire NOOOO BRUNETTA MINISTRO NOOOOOOOO

lunedì 22 aprile 2013

Intimamente fascisti


Tutti quelli che vanno in piazza a dire chi sarebbe dovuto essere il presidente della Repubblica vengono imbeccati da solerti giornalisti: lei vuole l’elezione diretta del capo dello Stato? I manifestanti dicono sì. Urlano e la voce si fa più acuta nel finale, come quella degli esagitati. Non è un coro, ma uno strillo. Il coro darebbe il senso di comunità, lo strillo è solitario. Solo che poi non sanno nemmeno cosa significhi e quali conseguenze dirette e indirette abbia un cambiamento così radicale. Io leggo solo una cosa in queste folle così agitate: l’italiano cerca un “conducator”, ha bisogno del ducetto di turno, perché non vuole assumersi la responsabilità della partecipazione, della delega e della libertà. Meglio essere dominati che partecipare al governo del proprio Paese. L’italiano medio è un fascista passivo travestito da democristiano. È un molle, un debole e un indolente. Che non delega ma scarica. Che strilla ma non dice. Che manifesta ma non dimostra. Che giudica ma non sceglie. E così si giustifica Grillo, che ci mette la faccia forte di una impunità non legale ma sociale. Lui che non si è candidato, non ha la responsabilità dell’eletto. E così si giustificano i giovani turchi, che campavano alle spalle di Bersani e lo hanno rinnegato al primo canto del gallo. E così si giustifica CasaPound, che indottrina i suoi ma non insegna. “Limortaccitua” è la critica politica più feroce che ho sentito. E qualche morto nella tomba si starà rivoltando. Che dolore.

domenica 14 aprile 2013

Metro e shorts: la differenza tra nord e sud


Una differenza abissale, una frattura profondissima divide il nord dal sud dell’Italia. Sembra di essere tornati negli anni ’60, quando questo abisso si è scavato nel fondo, disegnando due mondi diversi, inconciliabili, due Italie, due genti che le abitano, con commistioni belle e significative, ma che descrivono due opposti poli destinati a non ricongiungersi mai.A Milano le ragazze si vestono alla moda e sono carine, e non portano quegli orrendi shorts a vita alta che mortificano le forme più deliziose. A Roma spopolano. E sono davvero brutti. A Milano compri il biglietto, prendi la metro, e in certe stazioni devi timbrarlo anche all’uscita. Perchè se usufruisci di un servizio lo devi pagare. A Roma il biglietto non sai nemmeno come comprarlo, perché anche se c’è scritto che le macchinette automatiche prendono banconote fino a cinquanta euro, la lunghissima fila davanti agli infernali aggeggi ti dice urlando che funzionano solo a monete, se si è fortunati. Dopo centinaia di prove e di improperi un impiegato, ben nascosto in un gabbiotto, sollecitato a una risposta dice di andare da un’altra parte per comprare il ticket. Ecco, la differenza sta qua: nel muoversi e nello stare fermi, nel pensarci o nel fregarsene, nel rispetto della cosa pubblica o nell’uso a proprio uso e consumo, nell’armonia o nella prepotenza, nello strillare o nel dire, nel mostrarsi e non esibirsi.