mercoledì 27 novembre 2013

Morte perinatale, che il 15 ottobre sia una Giornata nazionale di consapevolezza


Nella sala stampa della Camera dei Deputati è stata presentata la proposta di legge per l’istituzione della Giornata nazionale della consapevolezza sulla morte perinatale «il punto di approdo di un lavoro svolto nella precedente legislatura», spiega Marzia Masiello, la moderatrice dell’incontro. La conferenza è cominciata con l’emozione fortissima di Emanuela Pirino, una mamma speciale, che ha raccontato la sua esperienza nel libro “Alessandra Buffone, la sua vita per la mia”. Ha letto qualche stralcio del volume, e la voce le si è spezzata quando ripercorreva nelle sue stesse parole messe nero su bianco l’incontro con quella bambina bellissima, che assomiglia all’altro suo figlio. Anche Marzia Masiello fa fatica a raccogliere il tono giusto di voce, pizzicato da quella commozione che ha percorso tutta la sala, piena di mamme speciali di CiaoLapo. Accanto alla Masiello, che snocciola i numeri (più di 2000 famiglie in Italia vengono colpite da un lutto simile, nel 70% dei casi si possono individuare le cause con un esame attento) il senatore Aldo Di Biagio, promotore a Palazzo Madama del disegno di legge, il deputato Matteo Biffoni, che della proposta si è fatto portavoce a Montecitorio, la presidente di CiaoLapo onlus, Claudia Ravaldi e il vicepresidente Alfredo Vannacci. «La morte perinatale è una piaga sociale e una falla del sistema», dice Di Biagio che enuclea qualche dato e sottolinea come sia paradossale che in Italia non sia stata ancora istituzionalizzata la giornata del 15 ottobre. Quella giornata in cui già di fatto si ricordano i bimbi morti in utero o appena dopo la nascita, accendendo candeline che si uniscono idealmente in una onda di luce che attraversa il mondo. Giornata necessaria per ricevere e condividere, spiega il senatore di Scelta Civica, «informazioni da strutture mediche, media, associazioni, per avere risposte significative. L’istituzione della Giornata sarebbe uno strumento di crescita sociale, di tutela medica e di consapevolezza culturale». L’onorevole Matteo Biffoni dimostra di conoscere bene CiaoLapo, e si vede che in quello che fa c’è anche un pezzo di cuore, non solo la testa. «La politica – afferma Biffoni – deve dare risposte anche a questioni che attengono alla vita delle persone e che potrebbero essere rimandate di fronte a cose più urgenti. Ma se vogliamo un Paese migliore che allarghi la base dei diritti dobbiamo passare attraverso proposte del genere». Non una resa al fato, secondo Biffoni, ma necessità di approfondimento «per evitare questi drammi – continua il deputato del Partito democratico – e quando accadono c’è bisogno di stare accanto alle famiglie. C’è ancora tanta strada da fare ma il percorso che stiamo intraprendendo oggi è quello giusto per donare a questo Paese un diritto in più». Il momento più atteso in sala è quello in cui parla Claudia Ravaldi, presente nella doppia veste di medico ricercatore e di mamma di Lapo: «Fare rete in Italia sta diventando sempre meno un tabù», spiega la Ravaldi che ricorda come da ricercatrice si è occupata di disagio psichico il quale deriva da una negazione. E quale negazione più eclatante di una mamma cui viene sottratta la possibilità di crescere suo figlio? «Il lutto non è una malattia – spiega la presidente di CiaoLapo onlus – ma c’è una grande solitudine che resta tale dal punto di vista psicologico e psico-sociale come se questa morte fosse meno importante». La Ravaldi è un fiume in piena, il povero cronista fatica a prendere appunti. «Dove non c’è una spiegazione – sostiene – significa che la medicina non ha ancora fatto progressi per darne una». Quindi bisogna conoscere, studiare, e intraprendere un percorso psico-sociale per superare quella che la Ravaldi chiama la “faglia di resistenza psicologica”. Tanto che riferendosi a CiaoLapo qualcuno ha usato la definizione di “associazionismo scientifico”. «L’Italia è il fanalino di coda – esordisce il dottor Vannacci – al nostro Paese dal punto di vista politico e scientifico non mancherebbe niente per essere all’avanguardia». CiaoLapo ha diffuso un questionario e dalle risposte delle oltre mille persone emerge un quadro drammatico. «Il 40% ha ricevuto assistenza inadeguata, registriamo una forte barriera comunicativa tra operatore sanitario e genitore. Oltre il 70% dice che non gli è stato proposto di creare ricordi. Nella metà dei casi non viene fatto nessuna approfondimento. Negli ospedali, da nord a sud senza distinzione tranne alcune isole felici, non vengono seguite le raccomandazioni degli organismi internazionali che si occupano di morte perinatale». Per questo serve una Giornata dedicata alla consapevolezza, perché come ricorda Vannacci, «è un problema sentito da tutte le parti sociali, basta metterle insieme per portare a casa il risultato». La chiusura dell’appuntamento è all’insegna dell’emozione, come lo era stato l’inizio. Marzia Masiello legge ancora un pezzo di libro, che è un pezzo di vita di tutte le mamme speciali.

sabato 20 luglio 2013

Ciao Rita, amica e maestra

Rita Calicchia con l'assessore Sovrani e la presidente Chiara de Nardis
Oggi pomeriggio sono stata alla morgue della clinica San Marco per salutare per l'ultima volta Rita Calicchia che ci ha lasciato per raggiungere le stelle. Le hanno messo una camicia rossa sgargiante con i brillantini. Ma è stato irreale vedere Rita, quella incazzosa e vitale che mentre faceva una cosa ne aveva pensata un'altra e una terza si stava compiendo, ferma e immobile con un crocifisso in mano. Irreale. 
Rita Calicchia aveva dato senso alla mia ambizione di fare la giornalista, un giorno che mi fece i complimenti davanti a un sacco di gente. Ero intimorita, eppure non ero proprio una ragazzina. Ma davanti a lei, che ha inventato la comunicazione istituzionale e politica in questa provincia e che scriveva di economia e sindacale sul Tempo, mi sentivo piccola piccola. Era un mito per me, coraggiosa e determinata non aveva paura davanti a niente, non abbassava gli occhi davanti a nessuno, e diceva quello che pensava senza timore di niente e di nessuno. Era una tosta, che sapeva sorridere con dolcezza. Ma quando lavorava era fiera e determinata, non c'era spazio per giocare. Per questo i suoi complimenti mi fecero diventare rossa. Erano sinceri e senza fronzoli. 
Poi siamo diventate amiche. Quando pochi mesi fa al Comune di Latina ha presentato con Chiara De Nardis l'associazione "Diamole peso" ha detto: «Anche chi passa un periodo brutto, sa che può rinascere». Avevo scritto la frase in un biglietto e avevo chiesto a Sara di recapitarle quel foglio di speranza, per dirle grazie. Poi la vita certe volte è una brutta vita, e ti porta via in pochi giorni con una faccia spigolosa che non è la tua e ti ammazza prima di ucciderti. Oggi abbraccio la mamma di Rita che ha perso una figlia e le sue sorelle Angela e Serenella. Ma voglio abbracciare anche Sara. Per tutto quello che è e che fa.
La ricordo con un cappello borsalino il giorno che al bar Cifra presentò con Cinzia Leone il progetto dell'ambulanza veterinaria. Era bella, Rita. 

domenica 23 giugno 2013

Io sto con la gente normale, che non tira i sassi per strada

«A’ frocetto vie’ qua». Certi sciamannati li chiamano così, per sfottere. Certi non parlano, ma tirano pietre ad alzo zero. Per questi motivi, e per tanti altri ancora ieri ad Aprilia c’è stata la manifestazione per dire “No all’omofobia”, organizzata da Sinistra ecologia e libertà, Partito democratico, Federazione della sinistra, Anpi, cui ha aderito Primavera apriliana, dopo che una sera in Via Inghilterra a Federico hanno tirato delle pietre. Ci sono andata con il mio amico Tommy Tommy, che vuole diventare Jasmine. E che si prende un sacco di insulti perché lo dice. C’era Imma Battaglia, esponente storico del movimento omosessuale in Italia che ha parlato tenendo Federico per mano, che è riuscito a dire solo «grazie, sono molto emozionato», mentre una ragazza piangeva; c’erano  parlamentari di Sel, qualche politico locale, e tanta gente comune. Gente che non ti aspetti, che se un figlio confessasse di essere gay soffrirebbe, ma che sa che l’unico modo di vivere è quello per cui ognuno è uguale e diverso. E mi sono sentita a casa, anche se ero in una città che non è la mia, lontano dalla mia gente solita. Ho capito che cambiare è si può, ma prima di parlare di matrimoni gay et similia ci vuole una legge che dica che l’omofobia è un reato. Così la prossima volta che tirano i sassi a Federico qualcuno finisce in caserma, e magari una seconda volta ci pensa meglio prima di prendere pezzi di asfalto e lanciarli contro uno che cammina ignaro per la strada. Qua non si tratta di leggi, ma proprio di educazione e di cultura, per cui ho deciso di metterci la faccia, anche se è scomodo, se non conviene e se non è popolare. Ma è giusto.
Io sto con Federico, che ha denunciato, con Tommy, con Imma, con un sacco di lettere puntate per non dire il nome che non sarebbe giusto ma che sono pezzi di cuore e tutta l’altra gente normale che se vede un eterosessuale non gli tira i sassi per la strada.

PS Nel 2007 grazie al sindaco Sandro Bartolomeo che istituì a Formia il registro delle unioni civili ho avuto la conferma che fosse giusto metterci la faccia sempre. Intervistai l'allora consigliere comunale Delio Fantasia e il presidente dell'Arcigay Aurelio Mancuso. E fu una delle poche volte in cui ebbi la sensazione netta che valeva la pena fare questo mestiere di raccontare. Una vita fa


domenica 5 maggio 2013

Un giro gratis sulla giostra dell'orrore


Al cimitero di Latina c’è un emiciclo nel quale hanno messo insieme tutti i bambini che hanno lasciato questo mondo. In questo posto così assurdo, per il quale in nessuna lingua hanno inventato parole, per il quale non vale la pena cercarne tanto è doloroso e folle, qualcuno la domenica mattina ci va a far le gite dopo essersi pulito la coscienza con il fiore di plastica. Come definirli questi sciacalli che passeggiano intorno e commentano? Io li chiamo pervertiti, in cerca di un brivido macabro senza rischio. Sono quelli che vanno a fare la foto davanti la villetta di Cogne, o fanno la fila per assistere all’udienza con lo zio di Avetrana; e con lo stesso spirito vanno al cimitero di Latina tra i fiori bianchi e i giochi con i quali nessun bambino giocherà mai , a compiacersi (chissà, forse anche senza esserne consapevole, la gente meschina quasi mai lo è) che una simile tragedia non sia capitata a loro. Perché questo è il discrimine tra trasgressione e perversione: la prima diverte anche gli altri, la seconda ferisce; l’una si condivide, l’altra è egoista. Un giro gratis sulla giostra dell’orrore, anzi, al prezzo del dolore altrui, non si nega a nessuno. 

sabato 27 aprile 2013

Il popolo bue e Brunetta


Leggo sui giornali il racconto di questa Italia. Un Paese dove è possibile che la borsa di un generale ucciso sia stata persa per 31 anni e ritrovata nel bunker del tribunale di Palermo, però vuota. E adesso cercano le carte. (sic!). Dove i carabinieri sparano in aria per disperdere la folla inferocita per via dell’immondizia che invade le strade di una città bella e drammatica come Palermo. Come sono contraddittorie e dolorose le città, le donne e le storie del sud. Dove un premio Nobel irride un nano e la sinistra non dice nulla. Perché se l’offesa è di Dario Fo rivolta a uno come Brunetta è meno offesa? Ci sono tanti e tali motivi per demolire uno come Brunetta che la sua altezza davvero non fa notizia. Questa è l’Italia in cui mentre la gente, impossibilitata democraticamente da una legge elettorale assurda, per esercitare il proprio diritto a scegliersi la classe dirigente è costretta a votare Grillo, loro, quelli della classe dirigente non scelta ma investita, pensano di riproporci i vari Alfano (no comment), il Brunetta di cui sopra, la Maria Stella Gelmini che ha devastato la scuola, il Dalemone che ha fatto il tempo e il guaio suo, la Bindi che non la sopportano più nemmeno i suoi parenti e varia compagnia marcia cantando. Siamo il popolo bue e loro lo sanno: possono farci di tutto e noi accettiamo supinamente. Ma prima o poi pure i buoi si incazzano. O no?
ps: qualche riga in più oltre alle classiche quindici per dire NOOOO BRUNETTA MINISTRO NOOOOOOOO

lunedì 22 aprile 2013

Intimamente fascisti


Tutti quelli che vanno in piazza a dire chi sarebbe dovuto essere il presidente della Repubblica vengono imbeccati da solerti giornalisti: lei vuole l’elezione diretta del capo dello Stato? I manifestanti dicono sì. Urlano e la voce si fa più acuta nel finale, come quella degli esagitati. Non è un coro, ma uno strillo. Il coro darebbe il senso di comunità, lo strillo è solitario. Solo che poi non sanno nemmeno cosa significhi e quali conseguenze dirette e indirette abbia un cambiamento così radicale. Io leggo solo una cosa in queste folle così agitate: l’italiano cerca un “conducator”, ha bisogno del ducetto di turno, perché non vuole assumersi la responsabilità della partecipazione, della delega e della libertà. Meglio essere dominati che partecipare al governo del proprio Paese. L’italiano medio è un fascista passivo travestito da democristiano. È un molle, un debole e un indolente. Che non delega ma scarica. Che strilla ma non dice. Che manifesta ma non dimostra. Che giudica ma non sceglie. E così si giustifica Grillo, che ci mette la faccia forte di una impunità non legale ma sociale. Lui che non si è candidato, non ha la responsabilità dell’eletto. E così si giustificano i giovani turchi, che campavano alle spalle di Bersani e lo hanno rinnegato al primo canto del gallo. E così si giustifica CasaPound, che indottrina i suoi ma non insegna. “Limortaccitua” è la critica politica più feroce che ho sentito. E qualche morto nella tomba si starà rivoltando. Che dolore.

domenica 14 aprile 2013

Metro e shorts: la differenza tra nord e sud


Una differenza abissale, una frattura profondissima divide il nord dal sud dell’Italia. Sembra di essere tornati negli anni ’60, quando questo abisso si è scavato nel fondo, disegnando due mondi diversi, inconciliabili, due Italie, due genti che le abitano, con commistioni belle e significative, ma che descrivono due opposti poli destinati a non ricongiungersi mai.A Milano le ragazze si vestono alla moda e sono carine, e non portano quegli orrendi shorts a vita alta che mortificano le forme più deliziose. A Roma spopolano. E sono davvero brutti. A Milano compri il biglietto, prendi la metro, e in certe stazioni devi timbrarlo anche all’uscita. Perchè se usufruisci di un servizio lo devi pagare. A Roma il biglietto non sai nemmeno come comprarlo, perché anche se c’è scritto che le macchinette automatiche prendono banconote fino a cinquanta euro, la lunghissima fila davanti agli infernali aggeggi ti dice urlando che funzionano solo a monete, se si è fortunati. Dopo centinaia di prove e di improperi un impiegato, ben nascosto in un gabbiotto, sollecitato a una risposta dice di andare da un’altra parte per comprare il ticket. Ecco, la differenza sta qua: nel muoversi e nello stare fermi, nel pensarci o nel fregarsene, nel rispetto della cosa pubblica o nell’uso a proprio uso e consumo, nell’armonia o nella prepotenza, nello strillare o nel dire, nel mostrarsi e non esibirsi.